Thursday, September 12, 2024

Le battaglie di Imera del 480 e 409 a.C.

Cefalunews , 19 marzo 2015

La Sicilia fu per i Punici (Cartaginesi) una terra molto rilevante dal punto di vista strategico. In realtà la nostra Isola fu molto ambita come territorio di conquista, non solo perché relativamente poco distante da Cartagine, ma altresì, perché caratterizzata dall'ottima posizione geografica (al centro del Mediterraneo), essendo una tappa obbligata per i navigatori, impegnati questi ultimi a intraprendere le rotte commerciali da est verso ovest, in particolar modo verso la penisola iberica. Già intorno al XII sec. a.C. un popolo di navigatori e mercanti, i Fenici, avevano iniziato a muoversi su nuovi percorsi commerciali in direzione del Mediterraneo, alla ricerca di nuovi e fertili lidi da colonizzare ed anche per assicurarsi le materie prime necessarie per il loro fabbisogno: l'argento, l'oro, lo stagno, il rame e il ferro. Tra la fine del XII sec. a.C. e il secolo successivo, questo “popolo del mare” giunse in Sicilia.

In un primo momento “le genti di Tiro” (così furono denominazioni dai Greci i Fenici) crearono delle colonie emporio e in seguito, istituirono dei veri e propri centri urbani. Della loro presenza in Sicilia significativo fu il racconto dello storico ateniese Tucidide, nel suo libro “La guerra del Peloponneso (VI,2)”, il quale affermava: “Anche i Fenici abitavano qua e là per tutta la Sicilia, dopo aver occupato i promontori sul mare e le isolette vicino alla costa, per facilitare i rapporti commerciali con i Siculi. Quando poi vennero d'oltremare in gran numero i Greci, essi sgombrarono la maggior parte del paese e si concentrarono a Mozia, Solunto e Panormo, vicino agli Elimi dove abitarono, rassicurati dall'alleanza degli Elimi stessi e dal fatto che da quel punto della La Sicilia distava pochissimo da Cartagine”.

Dal racconto dello storico greco si deduce quindi che dopo la fase precoloniale che vide i Fenici stanziarsi a oriente, e occupare i promontori e le isole vicino alla costa; sempre gli stessi coloni, sul finire dell'VIII sec. a.C. con l'arrivo dei Greci nell'Isola, abbandonarono le sedi precedentemente popolate per concentrarsi nella parte occidentale, ossia nelle città di Palermo, Solunto e Mozia. Non molto tempo dopo, questi centri, passarono sotto la protezione di Cartagine. Da questo momento l'antica colonia fenicia situata nell'Africa settentrionale la “Qart adasht”, fondata nel IX sec. a.C. diventerà la spina nel fianco dei sicelioti. Infatti, i Cartaginesi, dopo aver posto sotto il proprio dominio tutte le isole del Mediterraneo occidentale ad eccezione della Sicilia, bramosi per un'ulteriore espansione, affrontarono la prima vera e propria campagna militare a Imera (sulla costa tirrenica, a circa dieci chilometri a est dell'odierna Termini Imerese) nel 480 a.C.

L'assedio della città, la più occidentale delle colonie greche, si concluse con un insuccesso per Cartaginesi. In realtà, nella battaglia tra gli eserciti greci congiunti (Gelone di Siracusa e Terone di Agrigento) perse la vita, il generale cartaginese Amilcare Barca. La seconda battaglia (quella decisiva e vittoriosa per i Cartaginesi) avvenne sempre a Imera, circa settant'anni dopo, cioè nel 409 a.C. Questa volta Annibale Magone (nipote di Amilcare), insieme ai suoi uomini invase la città, saccheggiandola e distruggendola completamente. Abbiamo formulato al dottor Ferruggia (1) alcune domande inerenti alle due epocali battaglie avvenute nella piana di Imera nel 480 e 409 a.C.

Dottor Ferruggia, innanzitutto grazie per averci concesso l'intervista, le poniamo la prima domanda: quali furono i motivi che spinsero i Cartaginesi nel V sec. a.C. tentare la presa di Imera?

Devo anche io ringraziare, perché è un piacere ritornare a puntare i riflettori su avvenimenti del passato dell'Occidente ingiustamente dimenticati, tanto più importanti in quanto antichissimi, quindi dalle ripercussioni inestimabili sul nostro pensiero e sulle nostre abitudini. Circa la strategia che avevano in mente i Cartaginesi va detto che fu diversificata nelle due situazioni: mentre nel 480 si trattava di riportare l'Occidente isolano ad una dimensione di “addomesticazione filo-punica”, nel 409 l'assedio di Imera faceva parte di un pianoforte più sistematico di sottomissione dei Greci di Sicilia.

Nel 480 a.C. di fronte le mura di Imera si combatte l'epica battaglia che vide contrapposti i Greci di Sicilia ed i Cartaginesi, può parlarci di questo epocale primo scontro?

Fa bene a considerarlo epocale in quanto avvenne in un momento in cui la grecità tutta era accerchiata da quelli che gli stessi Greci chiamavano “Barbaroi”: a Oriente i Persiani (con flotta fenicia) ed ad Occidente i Cartaginesi, superpotenze di prima grandezza nel panorama mondiale di allora, decisoro, forse concordando la simultaneità delle spedizioni, di farla finita con la scomoda presenza ellenica nel Mediterraneo. Tra le memorabili sconfitte che li fermarono, quella di Imera ha un posto di rilievo. Vorrei però sottolineare che la grecità isolana e peninsulare non si riunì tutta sotto il vessillo antipunico: almeno altre due città, Selinunte e Reggio, avevano deciso di supportare i Cartaginesi, attenuando così la dimensione di scontro di civiltà dell'evento bellico.

Quale fu lo stratagemma militare che utilizzò Gelone per sconfiggere il suo avversario Amilcare?

Secondo Diodoro Siculo fu proprio Amilcare a fornire allo stratega siracusano il modo di entrare nel suo stesso accampamento: i Cartaginesi avevano patito la perdita della cavalleria nella traversata per la Sicilia. Amilcare quindi inviò dei messi a chiedere un contingente di cavalieri all'alleata Selinunte. Questi messaggeri però caddero in mano greca. In quattro e quattr'otto Gelone pensò di camuffare i suoi cavalieri alla maniera selinuntina per infiltrarli nel campo nemico. Non abbiamo un resoconto preciso, ma sappiamo che dopo la loro missione le navi puniche furono avvolte dalle fiamme e dello stesso Amilcare si persero per sempre le tracce. Morirono probabilmente tutti questi arditi Elleni, e forse sono proprio loro gli scheletri ritrovati dopo duemilacinquecento anni in fosse comuni, nella cosiddetta necropoli occidentale di Imera, con a fianco gli scheletri dei cavalli che avevano montato.

La prima battaglia di Imera ebbe particolari sviluppi storici?

Enormi, epocali, come lei ha sottolineato. Se abbiamo una cultura classica prodotta direttamente in suolo siciliano lo si deve alla vittoria di Imera. I Cartaginesi ne uscirono talmente bastonati che passarono sette decenni a leccarsi le ferite. Invece i Sicilioti, i Greci di Sicilia, ebbero il tempo di dedicarsi alla poesia, alla filosofia, alla scienza ed alla costruzione di grandi città coronate templi immensi. Questa indelebile eredità campeggia ancora oggi nei libri di testo di ogni ordine di scuola dell'Occidente.

Quali motivi spinsero Annibale ad attaccare nel 409 a. C. l'antica città greca?

Prima di tutto è meglio chiarire che questo Annibale Magone era solo omonimo di Annibale Barca, quello degli elefanti per intenderci, e che precedeva il secondo di quasi tre secoli. Abbiamo già detto poi, che nel secondo assedio, quello fatale per la città tirrenica, la era strategia di più ampio respiro: la sottomissione dell'intera isola al gigante punico. Imera ne era sicuramente una tappa, ma la particolare tempistica ed il fatto che il condottiero punico facesse marciare il suo esercito contro la città subito dopo avere espugnato Selinunte, rende plausibile l'ipotesi secondo la quale Annibale coltivava un odio personale. Certo, Imera era la più occidentale delle città greche della costa nord isolana, era quindi logico abbatterla subito dopo Selinunte, ma il punico era nipote di quell'Amilcare che proprio ad Imera aveva tirato le cuoia. Probabilmente, quindi, Annibale cercò anche la vendetta. Lo dimostrerebbe la particolare crudeltà dimostrata nei confronti dei prigionieri e la continuazione della campagna punica nella costa meridionale sicula e non in quella settentrionale.

Prima di parlare della seconda battaglia di Imera che determinò la devastazione della città per opera dei Cartaginesi, può fornirci esaurienti informazioni su questa colonia greca fondata nel VII sec. aC. ?

Di etnia prevalente calcidese, al confine fra le due sfere d'influenza, punica ad ovest e greca ad est, sorse su un sito perfetto per una colonia ellenica: una piana fertile per l'agricoltura, un'ampia costa sabbiosa per i commerci, ed un fiume che la lambiva ad est. La sua posizione abbastanza “isolata” nel contesto siceliota, la portava ad intrattenere rapporti commerciali, non solo col mondo punico e filo-punico, ma anche con Etruschi, genti dell'Iberia, della Sardegna, dell'Egeo, di Cipro. Crebbe velocemente arrivando a contare diverse decine di migliaia di abitanti: entro le mura ad Occidente del Fiume Grande la città alta (sul piano d'Imera e del Tamburino, con i templi dell'acropoli) e quella bassa, nei pressi del porto e della foce del fiume (con l'agorà ed il tempio della Vittoria); un quartiere extraurbano, ad est del fiume con la necropoli orientale davanti alla spiaggia; verso sud una necropoli nei pressi di Cozzo Scacciapidocchi. La grande necropoli occidentale, nella piana di Buonfornello, poco al di là delle mura di ponente. Buoni i rapporti con i Sicani dell'interno. Insomma, pacifica, ben posizionata e dinamica. Dobbiamo trovarle un difetto? Troppo vicina all'area d'influenza punica. 

Quali conseguenze ebbero la seconda battaglia di Imera sotto il profilo politico ed economico?

I Greci ebbero la prova dell'intento che animava l'avanzata punica: l'eliminazione dell'elemento ellenico sull'isola. La Sicilia occidentale divenne una vera epicrazìa punica, una sorta di provincia direttamente controllata dagli Africani, comprendente più popoli di fatto sottomessi a Cartagine. I Greci persero un emporio chiave per i mercati tirrenici e di ponente. Imera scomparve per sempre, pur rimanendo nei secoli successivi la piana abitata da piccoli insediamenti agricoli.

Nello scontro tra Greci e Cartaginesi del 480 e 409 a.C. quali armi furono utilizzate da ambo le parti?

Furono molto diversificati. Si considera infatti che, mentre i Greci portarono sul campo di battaglia un arsenale abbastanza omogeneo, i Cartaginesi si trasferirono ad Imera mercenari da ogni dove: genti isolane come Sicani Elimi e Siculi, ma anche Libici, Fenici, Iberi, Liguri, Campani, Etruschi , Elisici, Sardi, Corsi, Cirnei, genti che, almeno in parte, portarono con sé armi ed armature proprie. Se fossimo stati lì, quel giorno di venticinque secoli fa, avremmo visto elmi crestati, lance e scudi della possente falange agrigentina e siracusana, con tanto di nutrita cavalleria, schermagliatori ed arcieri. In campo punico avremmo ammirato i grossi elmi “Negau” etruschi, le falcate iberiche, gli spadoni celtici, scudi e lance di ogni tipo, frombolieri, qualche carro da guerra, arieti d'assedio e... pale e picconi. Sì perché nel secondo assedio di Imera i Cartaginesi tentarono di abbattere le mura con gli arieti, appunto, ma anche scavando cunicoli sotto di esse.

Le battaglie combattute dai cartaginesi sul suolo imerese furono mosse attraverso un piano strategico prestabilito? Di contro i greci si prepararono adeguatamente per ricevere l'assalto nemico?

Ho almeno in parte già risposto sull'atteggiamento cartaginese. Circa i Greci, del 480 erano pronti allo scontro in quanto la coalizione tra Agrigento e Siracusa aveva esteso la sua influenza sulla città, cacciando il tiranno filo-punico Terillo. La risposta cartaginese era scontata ed attesa. Nel 409 invece i Greci furono presi alla sprovvista: non immaginavano un attacco alla grecità isolana messo in atto da chi era stato precedentemente pesantemente bastonato. Inoltre, la vittoria siracusana su Atene di pochi anni prima, avrebbe dovuto, nell'immaginario del Siceliota medio, incoraggiare qualsiasi malintenzionato Barbaro. Ma gli elleni non avevano fatto i conti con l'oste punico: caddero Selinunte, Imera, Agrigento, Gela e Camarina e, dopo il disastro, la stessa democrazia siracusana cedette il posto alla dittatura, ritenuta strumento più efficace per contrastare il gigante cartaginese. E la storia cambiò.

Dottor Ferruggia un'ultima domanda: nello scritto più importante del Barone Montesquieu “De l'Esprit des Lois” “Lo spirito delle leggi” (1748) il filosofo francese afferma che l'accordo stipulato da Gelone con i Cartaginesi è “Il trattato più bello di pace, di cui abbia fatto menzione l'Istoria…” lei condivide la sua dichiarazione?

Montesquieu si riferiva alla clausola secondo la quale i Cartaginesi avrebbero dovuto farla finita col vizio di sacrificare fanciulli agli dei. Pare infatti, che la influente first lady siracusana, mal sopportando l'inumana pratica, abbia costretto il marito ad inserire nel trattato la sua cancellazione. Si discute ancora oggi se quanto asserito circa questi sacrifici dagli storici greci corrisponde al vero. Di certo c'è che Demarete, così si chiamava la moglie di Gelone, finì sui conii della prima moneta commemorativa della storia, e che i Greci furono di mano particolarmente leggera coi Cartaginesi, al di là del sacrificio degli infanti, vicenda alla quale la la propaganda antibarbara non pare essere completamente estranea. E quando mai? Non discutiamo ancora oggi di scontro di civiltà tra la sponda nord e sud del Mediterraneo?

Aldo Ferruggia , è nato a Palermo nel 1966; diplomato al Liceo Classico, ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia nel 1994.  Si appassiona alla storia antica davanti alle rovine del tempio “G” di Selinunte. Crea la voce di Wikipedia Italia, Guerre Greco-Puniche e Greek Punic Wars nella versione inglese. Viene incoraggiato dallo storico Michele A. Crociata a pubblicare la sua opera prima, “Le guerre senza nome” (Neos Edizioni) pubblicata nel luglio 2014. Per la sua stesura è stato necessario un certosino lavoro di ricerca nelle fonti antiche e nelle pubblicazioni dei maggiori esperti del settore. Si ringrazia per le fonti iconografiche, il dott. Aldo Ferruggia e l'architetto Roberto Tedesco.

Foto di copertina:  Rappresentazione della Battaglia di Imera

Foto a corredo dell'articolo: 

Tempio di Imera

Bronzo

Vaso con giovane con lancia, vecchio con lancia ed oplita con panoplia

Giuseppe Longo 

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Dopo 232 anni rinasce l'Accademia Euracea

MadonieLive , 4 Luglio 2011

Il 12 gennaio del 1774 su iniziativa dei sacerdoti, Giuseppe Gargotta, Antonino Comella-Fileti e Giuseppe Ciprì, promotore il mecenate Giuseppe Gandolfo, nacque a Termini Imerese l'Accademia Euracea. L'Associazione prese il nome dal Monte S. Calogero od Euraco, che nell'Arcadia locale fu ritenuto mitica sede dei Pastori Imeresi. L'Accademia Euracea s'ispirava agli antichi legami tra Himera patria del sommo poeta Tisia ricordato come Stesicoro e Termini. Il consesso accademico sopravvisse, con alterne vicende, sino al luglio 1800 raggiungendo i novantotto iscritti.

L'attività dell'Accademia non produce altro che una serie di discorsi rimasti inediti e che si conservano presso la Biblioteca Comunale di Termini Imerese. Dopo i moti rivoluzionari separatisti del 1820-1821 Nicolò Palmeri, storico letterato, rifondò l'Euracea che fu inaugurata il primo aprile del 1822 e che perduro sino al 1824 circa. Anche i pochi documenti della rinata Accademia si conservano sempre nella locale Biblioteca Comunale. Nell'anno 2006 questo consenso culturale riprende di nuova vita con la denominazione di Accademia Mediterranea Euracea di Scienze Lettere e Arti (AMESLA) - onlus

L'insegna della nuova Accademia (opera del pittore Salvatore Contino in arte Tinosa) riprende in gran parte quella originaria dell'Euracea recando sullo sfondo il monte S. Calogero o Euraco e in primo piano un grande alloro alla cui ombra siede il poeta imerese Stesicoro . Legenda: EURACEI PASTORES e le parole ricavate dai versi di Orazio (Odi, IV, 9, 8): STESICHORIVE GRAVES CAMENAE. Scopo dell'AMESLA è “di dare impulso al progresso delle scienze, delle lettere e delle arti in Italia e nel bacino del Mediterraneo”. Presidente dell'Accademia è attualmente il Dott. Geol. Dottore di ricerca Antonio Contino.

Nel primo quinquennio l'Associazione ha promosso diverse attività: due mostre di pittura ed ha patrocinato la pubblicazione di lavori scientifici. Nel suo seno sono stati attivati ​​alcuni gruppi di lavoro nell'ambito dello studio della diffusione dei materiali lapidei nel bacino del Mediterraneo e dello studio dell'onomastica familiare in Sicilia, con particolare riguardo a Termini Imerese (Storia delle Famiglie Termitane).

Giuseppe Longo

Foto di copertina: Termini Imerese, da Wikipedia. 

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La Polizia Municipale di Termini Imerese: una storia lunga 150 anni

 Cefalunews , 15 marzo 2015

La Polizia Municipale di Termini Imerese ha compiuto 150 anni. In realtà, il decreto del Re d'Italia che approvava il regolamento di polizia urbana fu registrato alla Corte dei Conti il ​​10 marzo 1865. Il predetto decreto fu istituito su proposta del Ministro dell'Interno, previo parere favorevole del Consiglio di Stato, in applicazione della legge n. 3702 del 23 ottobre 1859 (la cosiddetta legge Rattazzi, dall'allora ministro dell'Interno, Urbano Rattazzi). Con la caduta del “ Regno delle Due Sicilie” e l'annessione dell'Isola al “ Regno d'Italia” , la legge predetta era stata estesa anche alla Sicilia.

In data 26 febbraio 1865, il Re Vittorio Emanuele II, approvava il regolamento di Polizia Urbana, quest'ultimo già deliberato dal Consiglio Comunale di Termini Imerese in data 24 agosto 1864. In virtù di tale regolamento di polizia urbana il Consiglio Comunale di Termini Imerese con deliberazione n. 26 del 18 agosto 1865 riguardo alla nomina di “Guardiani Urbani” così disponeva: “L'anno milleottocentosessantacinque, il giorno diciotto agosto in Termini Imerese nella sala delle adunanze municipali. La Giunta Municipale si è congregata sotto la Presidenza del Signor Lo Faso Cav. Giacinto e nelle persone degli assessori titolari De Luca Stefano e Arrigo Sac. Natale in numero sufficiente per la legalità delle deliberazioni. A questa Giunta il Presidente manifesta l'oggetto della presente convocazione; si è poi passati alla nomina di uno o due Guardiani Urbani per disimpegnare le svariate incombenze che risultano dal regolamento di Polizia Urbana ultimamente approvato. La Giunta considerando che per attivare l'esatto adempimento dei regolamenti di Polizia Urbana è indispensabile aggiungersi ai due attuali Guardiani Urbani almeno un altro. All'unanimità passano alla nomina del Guardiano Urbano in persona del Signor Grifo da mettersi in servizio da domani in poi con lo stipendio di £ 31 e grani 87 mensili da prelevarsi dall'art. Migliorati. Il verbale precedente lettura e conferma viene firmato dal presidente, dall'assessore anziano e dal detto segretario”.

Ricordiamo le origini del Corpo di Polizia Municipale di Termini Imerese, idealmente discendente da quello romano, istituito nel I secolo d. C., a centocinquantanni dalla sua istituzione, attraverso il commento del Commissario Giuseppe Ambra in forza presso il Comando di detto Corpo.

«Quest'anno ricorre il 150° anniversario dalla istituzione del Corpo della Polizia Municipale di Termini Imerese. L'evoluzione della funzione assunta dal Corpo, rappresenta ed è espressione del ruolo storico rivestito ed interpretato dai suoi componenti. Nell'occasione sarà celebrata la Santa Messa che avrà luogo domenica 15 marzo 2015, alle ore 10.00 presso la Chiesa San Nicola di Bari (Maggior Chiesa), in piazza Duomo. 

La Funzione Eucaristica costituirà, inoltre, un momento di aggregazione con i colleghi in pensione e con i familiari di quelli che, nel tempo, sono venuti a mancare, che con l'impegno nelle mansioni svolte hanno contribuito ad arricchire e migliorare i rapporti sociali e civili all'interno della comunità termitana. Nel contempo, presso l'attuale sede della Polizia Municipale, in via Guglielmo Marconi 1, è allestita una mostra ricordo degli eventi storici e dei componenti il ​​Corpo in epoche trascorse. 

Il proposito è quello di restituire, alla consapevolezza delle Organizzazioni Istituzionali e dei Termitani, la memoria, i volti, le esperienze maturate, i percorsi di vita dei colleghi, anche di quelli non più tra noi. Espressione dei percorsi di vita, innanzitutto, perché non è accettabile che questi uomini vengano ricordati come semplici “Puntuneri” e non come persone che siano state parte integrante di questa Collettività, con i loro affetti, il lavoro, il ruolo nella società».

Il Comandante del Corpo di Polizia Municipale Dott. Maurizio Scimeca, coadiuvato dal Commissario Giuseppe Ambra e dall'Ispettore Capo Mario Demma, si è prodigato per la riuscita dell'importante ricorrenza.

Ringraziamenti: un ringraziamento particolare va al Commissario Giuseppe Ambra per le notizie e per il materiale iconografico che, con squisita gentilezza, ha voluto fornirci e che egli ha reperito con certosina perizia.

Giuseppe Longo

300 anni fa veniva ultimato il Ponte sul Fiume di Termini (1723-2023)

Cefalunews , 16 agosto 2023

Il Ponte San Leonardo così chiamato dall'omonimo fiume che lo attraversa, compie quest'anno 300 anni da quando nel XVIII sec. l'ardita opera in pietra arenaria fu costruita su progetto dell'architetto xibetano, Agatino Daidone (1662-1724), celebre matematico, architetto e cartografo.

La splendida struttura settecentesca fu innalzata in appena 70 giorni, all'epoca dell'Imperatore Carlo VI d'Asburgo, III di Sicilia (1685 - 1740), e del Vicerè fra Luis Manuel Fernández de Portocarrero, Conte di Palma (1635 - 1709) . L'ingegnosa conformazione a tutto sesto ideata dal Daidone, risolse una volta per tutti il ​​problema della solidità e resistenza del ponte alle eccezionali e improvvisate piene torrentizie che discendevano e attraversavano la valle del San Leonardo. In realtà, nelle epoche precedenti, lungo il corso del fiume, erano esistiti almeno sei ponti a più archi, e tutti subirono la stessa sorte: crollarono rovinosamente poiché non ressero all'effetto delle piene straordinarie. 

I ponti, furono impiantati lungo il tratto fluviale che andava dall'attuale Diga Rosamarina (in prossimità dell'abitato medioevale di Caccamo) sino in prossimità della foce del fiume San Leonardo, anticamente chiamato Fiume di Termini. Di queste infrastrutture architettoniche non più esistenti ci rimangono soltanto tracce limitate, ad eccezione del vistoso rudere quattrocentesco detto “Ponte Vecchio”, con rifacimenti seicenteschi, posto a monte del nostro, in sponda destra, e non lontano dal viadotto autostradale (A19) comunemente noto vieni “Ponte Sicilia”. Circa la denominazione “S. Leonardo”, deriva chiaramente dalla chiesetta di epoca medievale (purtroppo oramai scomparsa), intitolata al santo, che fu costruita a tergo del suddetto Ponte Vecchio.

La straordinaria genialità inventiva dall'architetto regio, ci viene pertanto rappresentata mediante la sua “speciale” realizzazione progettuale: il ponte a un'unica grande arcata, tale da essere scevro da ogni pericolo di crollo per cause torrentizie. Il monumentale ponte ideato dal Daidone da Calascibetta, ha un impianto a schiena d'asino, ed è provvisto di due rampe parallele al corso d'acqua che lo collegano al piano stradale. Oltre all'arcata maggiore se ne aggiunge una seconda più piccola, ossia un'arcatella laterale, a sinistra della riva del fiume.

La sommità dell'imponente arco è decorata da una scultura a rilievo oramai illeggibile nei dettagli, raffigurante un uomo dormiente. Questa figura allegorica riportava una breve iscrizione: “Secura quiete”, questo a significare la sicurezza e la tranquillità del ponte per chiunque l'avesse varcato.

Sul finire degli anni Ottanta del XX secolo, il Ponte San Leonardo fu oggetto di un intervento di restauro. Durante l'azione conservativa, furono riportate alla luce, all'interno della sua spalla sinistra, dei vani a volta che ebbero la funzione di alleggerire le reni del grande arco a sezione semicircolare.

Bibliografia e sitografia

Rosario Nicchitta , da Himera a Termini Imerese un percorso lungo duemilacinquecento anni, Editrice GASM, 2006.

PG da Mezzojuso , C. Scarfò , F. Leto e Grimaldi , “Ode funebre per le esequie da celebrarsi dagli Accademici Geniali di Palermo, de quali tiene degnamente la presidenza il can. D. sig. Don Antonino Mongitore, in morte del sig. D. Agatino Daidone Calascibettano, gran matematico, ingegnere di detta città di Palermo, ms. del XVIII secolo”, BCPa, 2Qq B 53, ff. 126r-127v, 150r-v, ss. sn Giovanna Curcio, Marco Rosario Nobile, Aurora Scotti Tosini, “I libri e l'ingegno studi sulla biblioteca dell'architetto (XV-XX secolo)” Edizioni Caracol, 2009.

Domenica Sutera , Il breve ristretto delli cinque ordini dell'architettura… di Agatino Daidone (1714): Struttura, Fonti, Modelli, Obiettivi. Pag. 89 in “I libri e l'ingegno studi sulla biblioteca dell'architetto (XV-XX secolo)”.

G. Giardina , Orazione in morte del nostro Accademico Agatino Daidone recitata [presso l'Accademia dei Geniali] li 4 giugno 1724, ms. del XVIII secolo, Biblioteca Comunale di Palermo (BCPa), Qq E 34, ff. 53-55.

EH Neil , Architettura nel contesto, cit., pp. 391-395.

Giuseppe Longo , 2010 -Il ponte di San Leonardo una delle meraviglie siciliane”- Sicilia Tempo anno XLVIII n.472 luglio, 14-17.

Giuseppe Longo 2011, “Il genio eclettico di Agatino Daidone”, MadonieLive, 17 giugno.

Giuseppe Longo , 2011, “Il ponte San Leonardo”, MadonieLive, 19 Giugno

Andrea Gaeta Biblioteca Comunale di Palermo - Manoscritto Qq E 34, f. 52, in “Gli Atomi – Collana in PDF di Tecnica e Cultura – 39. Daidone News 1 Quinta serie di idraulica romana”, Roma, 2013.

Giuseppe Longo 2018, Ciclo delle conferenze dedica a Giuseppe Patiri 4º incontro: “L'agro termitano al tempo di Niccolò Palmeri a 240 anni dalla sua nascita“. Chiesa di Santa Caterina d'Alessandria. Termini Imerese, Cefalùnews, 9 agosto.

Antonio Contino,  “Aqua Himerae idrografia antica ed attuale dell'area urbana e del territorio di Termini Imerese (Sicilia centro-settentrionale)” Giambra Editori, 300 pp. 2019. 

Giuseppe Longo

Foto a corredo dell'articolo: Antico Ponte sul S. Leonardo, Cartolina anni '60 - '70, Collezione Arch. Cosimo Serio.

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Wednesday, September 11, 2024

Il genio eclettico di Agatino Daidone

Giornale del Mediterraneo, 9 nov 2022

Agatino Daidone da Calascibetta fu un personaggio eclettico che visse a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo. La sua personalità geniale e versatile lo portò a distinguersi in diversi campi della cultura. Fu matematico, fisico, astronomo, pittore-restauratore, scenografo, cartografo e Regio Architetto. Nacque a Calascibetta “ Urbs Victoriosa et Fidelissima ”, nel cuore della Sicilia centrale, il 5 febbraio del 1662 da Antonio e da Barbara Callarami, al battesimo gli furono imposti i nomi di Agatino, Pietro.

Egli fu anche un profondo studioso di Ottica e realizzò a scopo dimostrativo e didattico, un modello dell'occhio umano nel quale era possibile evidenziare l'origine dei principali difetti visivi, che fece molto scalpore in Sicilia e all'estero.

Nel campo dell'idrostatica realizzò una bilancia di elevatissima precisione che chiamò, “idrolibra” che permetteva di riconoscere in una massa di oro in lega, delle dimensioni non superiori a quelle di un doblone, la presenza di un altro metallo sino a un minimo di quattro parti su cento.

Condensò i risultati di tale ricerca nella sua opera dal titolo “Archimede Reintegrato”, edita a Palermo nella regia Stamperia d'Antonio Epiro, nel 1720.

In quel torno di tempo, l'idrolibra del Daidone fece il giro delle Corti europee destando in ogni luogo notevole interesse e stupore, dando al suo inventore una fama a livello internazionale. Nel campo della cartografia regionale attorno agli anni 1712-1718, di segnò e pubblicò la seconda carta topografica dell'isola di Sicilia, apportando notevoli miglioramenti a quella edita da Sipione Basta nel 1702.

La carta di Daidone ebbe un grandissimo successo tanto da essere stata stampata più volte nel corso del XVIII secolo.

Agatino Daidone, fu l'architetto regio, responsabile dei lavori pubblici realizzati in Sicilia a quel tempo e la sua opera più importante è, senza dubbio, il ponte sul fiume San Leonardo. E' noto, inoltre, per aver portato avanti i lavori della villa del principe Gravina di Palagonia (comunemente nota come la “villa dei mostri” nella borgata della Bagaria, oggi divenuta la cittadina di Bagheria in provincia di Palermo) già iniziati dal progettista, Tommaso Maria Napoli, Agatino si spense a Palermo il 10 gennaio del 1724, compianto da tutti e l'orazione funebre (1) fu composta e recitata il 4 giugno dello stesso anno, dall'erudito Gaetano Giardina (1693-1731).

Nota:

(1) Gaetano Giardina Orazione in morte del nostro accademico Agatino Daidone. Recitata nell'Accademia dei Geniali - Palermo 4 giugno 1724 .

« Fra le più giuste e più onorevoli usanze che la nostra Accademia ha mai saputo con perfetta prudenza, e maggior suo vanto introdurre, quella senz'alcun dubbio è stata di celebrare con ben dovuto lodi il nome, e col nome insieme la gloriosa memoria di quegli insigni Accademici, che sono già di singolar fama vissuti, e che per lo stabile decreto universale, di cui niun di noi sarà esente, ànno da questa felicemente volato all'eterna veritiera magione delle più sane dottrine, delle virtù più splendenti, delle scienze più chiare; ed invero non senza misteriosa rilevante cagione, ma per farsi ben concepire l'idea della presenza non men che dell'era di futuro di quei doti così eccelse, e di quei preggi cotanto subblimi, dei quali era adorno ciascun defunto Accademico, acciochè fosse chiaro il giusto cordoglio, è il verace motivo della nostra Genial Radunanza di compiagnerne la perdita, e non passarla sotto un profondo, e men lodevol silenzio, come Anassagora quella del suo morto figliuolo, contentandosi sol di riflettere com'egli di sovente diceva sciebam me mortalem genuisse (Dion. Chrisostom, Orat. 35), ma facendone tutta la dimostranza, che la virtù, che il grado, e che le ottime qualitadi richieggono, siccome suggerì la ragione alla gran mente d'Alessandro il macedone, il quale per la venerazion che portava all'eccellenza del già morto Pindaro, e per la riverente memoria, che mantenea del medesimo, facendo bruciare la città di Tebbe, null'affatto curando ogni altro più superbo edificio, la casa ragguardò unicamente di quel famoso Poeta, facendovi scriver di sopra per avvertirlo ai soldati, che stavan oramai sul punto di consegnare alle fiamme divoratrici quella misera soggiogata città Pindari musici domus ne crematis (Dion. Chrisostom, Orat. 2) tutto questo io l'approvo, ma che io devo promulgar quest'oggi in questa sì fiorita addolorata Adunanza chi fosse stato il ragguardevole nostro defunto Agatino Daidone, e di qual preggi egli era ricolmo, approvare non posso, mentre che niente dirò di lui che di nuovo, e inaspettato vi giunga per essere state le opere sue, le sue dottrine, le ammirabili singolari sue doti a tutti ben chiare, a tutti ben conosciute, sicché di esso in un picciol periodo dir brevemente potrei che egli era qual Noi tutti sappiamo, siccome Democrito richiesto che cosa era l'Uomo rispose quod omnes scimus.

Non sofferendo però questa mia carica una tal brevità, dirò di lui non quanto certamente dovrei, ma quanto potrà sinceramente scoprire il mio affetto, quanto potrà la mia lingua, sebben dal gran cordoglio sorpresa, mostrandovi, non dico già una perfetta meravigliosa immagine, ma di quello, che egli era in confuso disegno, maldistinto un abbozzo.

Questa sì bella fortunata Sicilia dal supremo datore delle vere scienze sempremai benignamente guardata, in ogni tempo ha ben'ella nudridi Uomini sempre celebri in tutte le sue parti, e principalmente dei Matematici, quindi è che trecento sei anni prima di Cristo ebbe Gela il suo Euclide, e diciassett'anni dopo ebber le Siracuse Archimede; Maurolij nacque a Messina della Redenzione l'anno mille quattrocento novanta quattro, ed a Palermo al mille cinquecento sessanta sei il nobilissimo Carlo Maria Ventimiglia, nella città di Ragusa, nel millecinquecento novanta sette nacque Giovan Batista Odierna, e per fin dopo a questi, ed ai moltissimi altri, che sarebbe il numerarli ben lungo, nella città di Calascibetta il quinto giorno di Febbraio del mille seicento settanta due, fu il glorioso natale di sempiterna memoria del nostro Agatino Daidone, chiarissimo splendor della Patria, preggio di questa città, lume inestinguibile di questo Regno, e gloria alfine maggiore di questa nostra Accademia: fin dalla più verde età diedesi all'applicazione più serie, ed alle speculazioni più profonde della meccanica, e da lì a non molto di proposito diessi all'acquisto dell'Algebra, e della Pittura, indi a quello dell'universale Matematica.

Egli è pur vero, e ben lo sa tutto il Mondo, che in questo così arduo impegno divenn' Euclide a maraviglia Famoso, ma sotto la disciplina di Tolomeo figlio di Lagide; riuscì portentoso Archimede, ammaestrato però da Canone Samio; si fe' grande Dicearco sotto la scorta di Aristotele, e di Curito; ma il nostro Daidone, oh miracol'omai incredibile d'ingegno, oh forza comprensibile appena di veemente straordinaria inchinazione, saperel'ancor tutto il mondo, giunse al più subblime di sì grande, di sì difficil scienza, e cotanto degno riuscì d'immortal rimembranza (…) a fatigha più prodigiosa, a stuppenda, egli che maippiù né da Noi forse d'avvenir s'udirà, senza sollievo alcun di maestro, che l'aveva punto guidato, ma egli ad un sol tempo fu discepolo insieme, e precettore di se stesso: corse ovunque fra brieve così ampio, così glorioso la fama della sua perizia, che non mancaron città, che avide di godere qualche parte di bello del suo elevato industrioso intelletto così nei pubblici, come nei privati ​​edifizi, non lo chiamavano, e dov'egli andava, sempre a guisa degli antichi filosofi ansiosi di propalare i dogmi delle loro dottrine, dava le regole, ed ammaestramenti dell'architettura, e dell'ottica, non trascurando giammai lo delinearsi in pianta ciaschedun luogo dov'egli nel viaggiarer soffermavasi, o di proposito si tratteneva giustamente il memorabil costume del suo caro celebrato Archimede.

In un'istudio indefesso, e in altr'opere di perfetta meccanica tutto il tempo mirabilmente impiegato, sempre però colla sana laudabilissima idea che ànno ebbe i più saggi non così per se medesimo, quanto per giovare ad ognialtro, e per ciò creare un nuovo trattato di prospettiva, ed un discorso generale della Fabbrica, ed uso della sfera armillare, e sua pianta con molte operazioni, ch'egli medesimo nuovamente rinvenne: collegò insieme e colla perspicacia dei suo ingegno, e con l'attitudine della sua mano tutti quei molti, e principali strumenti, che alla matematica necessitano, e che un sol pugnal figuravano. Ne deve farsene men degna rammemoranza della picciola sì, ma 'ngegnosa macchina dell'occhio artifiziale, in cui, il natural perfettamente imitando vi si scopron le più vere cagioni d'onde procedano tutt'i difetti, a' quali la nostra vista soggiace; perlocchè sembrarebbe per lui quell'elogio, che Arrigo Vestenio a quel celebre Giovanbatista Verte Veneziano tessé, dichiarando che per l'occhio artifiziale fatto da sì gran Notomista non poteasi Non maxime exitimari, et venerari ingenium, et opus huius artificis, et inventoris, qui oculum ad tantam perfezionem produxit, ut nihil propter animam ei desit, in que nulla re alla díversus set ab oculo naturali (Gemma, Idea dell'Italia Letterata, Cap. 406, artic. 1. n. 6). 

Eppure tante, e sì belle opere, che ben potea con un grande, ed un comune applauso per mezzo delle stampe farne partecipe la letteraria Repubblica non volle, stimando sempre, com'è costume de' dotti, o di puòco, o di niun valore le sue fatighe, avendo quasi per propria, e naturale sua frase lo non so altro, sennon di avere nell'animo il sol disio di sapere, sentimento invero niente affatto dissimile a quello del gran Pittagora il Samio, qual mai non volle sapientemente chiamarsi, ma solamente filosofo, cioè soltanto, che di saper disioso: in si fatta maniera proseguì finché giunse all'età di trentasei anni, allorchè alcuni probblemi aritmetici di Vincenzio Nocilla adeguatamente con brevità maestra sciogliendo, died'egli la prima volta in istampa il saggio del il suo mirabil talento, e in un colle risposte pubblicò sei nuovi altri problemi, tra' quali due erano adattati a' cinque termini della pratica prospettiva.

Ma siccom'ei la virtude grandemente apprezzava, così godendo, che fosse apprezzato dagli altri mandò fuori nel mille settecento quattordici per commodo de' principianti con quello zelo, che avea veramente eroico di promulgar quant'era d'uopo all'istruzione della gioventude un brieve ristretto de' cinque ordini dell'architettura secondo le regole di lacopo Barozzi da Vignola, Andrea Palladio, e Vincenzio Scamozzi, dove conteneasi il più facile modo di piantar la sfer'armillare nel piano orizzontale, e lo scioglimento di varie quistioni astronomiche.

Oppure se questa nostra Accademia della morte di ciascun letterato sebben non iscritto al catalogo nostro, ma riguardo a quel che perde la Repubblica de' dotti suol maisempre attristarsi, potrà ogniuno riflettere quanto a lei sensibile maggiormente riesca la perdita di si celebre, di sì grande di Uomo così prodigioso il di cui nome immortale nel catalogo de' nostri Accademici, anziché di que', ch'esser vollero i primi, di caratter suo proprio registrato veggiamo.

Ma lo rammarico tantoppiù ragionevolmente s'innoltra quanto più la riflessione si avanza, ch'egli non vuole soltanto esser'uno de' primi alla fondazione dell'Accademia, ma come Voi ben sapete, de' primi ancora ad impegnarsi nel procurarle vantaggio, e decoro, come in effetto le opere e le sue fatighe più prodigiose, e stupende, egli rassembra che l'avesse voluto in quel tempo mostrare, in cui e l'Accademia, ed egli insieme men godettero l'una della gloria di averlo, l 'altro per esservi annoverato. Qui perciò a me fa di mestieri di riferire, sennon per intiero, gli argomenti almeno delle sue letterarie fatighe frallo spazio di cinque anni infra di noi recitate.

Elle non furon altro, che tre, e quella fu la prima di esse, per la quale impugnando l'oppinion di Odierna, e riggettando la bilancia del Galileo, diede a Noi con istraordinario stupore evidentemente a vedere la verità del mezzo, con cui il celebre ormai divino Archimede scoprì la fraude nella corona di lerone, e ce lo diede con isperienza a conoscere per via d'un istrumento invenzion del suo alto luminosissimo ingegno, qual da lui colle regole più rigorose, e più esatte dell'idrostatica fabbricato, Idrolibra chiamollo, valendosene per rinvenir coll'agevolezza più possibile la falsità delle dobble, e la novantesima e sesta parte della lega, che vi fosse in una mole d'oro finissima di peso eguale a un dobblone.

L'applauso che n'ebbe dopo di averla recitata li quattro di Giugno dell'anno mille settecento diecinove, fu grande, ma divenne maggiore poi, che la diede alle stampe nel mille settecento venti sotto la protezione del Barone di Schemmetteau Maggiore generale di battaglia negli esserciti cesarei, a tal che, giugnendone la notizia in Vienna al Serenissimo Eugenio di Savoia, richiedendolo perché invaghitosene, capitò dall'Autore istesso il discorso non solo, ma l'istrumento ancora, e con esso un iscritto metodo per più speditamente adoperarsi; riuscì di tanta inesplicabil soddisfazione a questo Principe il nuovo, e nobilissimo ritrovato, che parvegli cosa giusa ad universale benefizio, far tradurre quel metodo alla tedesca dalla italiana favella; ma pria della traduzione farlo da' primi grand'Uomini della Germania disaminare gli piacque, e ricavatone i maggiori elogi, lo mandò in Inghilterra alla censura dell'Ammiraglio Milord Forbeis, da cui non solamente approvato, ma accompagnato ancora da mille sincerissimi encomj la rimandò a Vienna, dove fu stampato in tedesco.

Gli effetti poi, che ne' tedeschi produsse, io non ho pensato di potersi in miglior forma spiegare, se non le parole istesse ridere, colle quali da Vienna fu il nostro Daidone di tutto ciò assicurato dal General Schemetteau con sua lettera de' 18 Febbraio del mille settecento ventidue: Il suo idrolibra fu la maraviglia di tutta la Germania; et ancora è stato mandato in Inghilterra dal Milord Forbeis Admirante, e fu solennissimamente approvato soggiugendogli che dovea stamparsi in lingua francese tradotto.

L'avea sebben da un anno già sincerato, che si sarebbe ciò fatto col discorso, quante volte averebb'egli spianate alcune poche, e picciole difficoltà fattevi da un inglese 'Ngegniere, quali sapute, da esse il motivo prendette di recitare in questo luogo istesso li ventinove Giugno del mille settecento vent'uno il secondo suo ragionamento, qual fu, come Noi tutti di maraviglia ripieni con serietade l'udimmo, a favor del suo discorso un'apologia ben fondata, e con dotta maniera ricolme di profonde dottrine, e sostenuta da sottilissimi esperimenti le risposte alle opposizioni dall'ingegniere inglese credute, cagion per la quale vi tenne appresso di se il nostro Agatino il suo primo discorso per farlo poi uscire insieme stampato colle già sciolte obbiezioni, la gran calca però degli affari così pel Tribunale del Real Patrimonio, di cui egli era Architetto, come per le varie importanti cariche della deputazione del Regno, e l'immatura lagrimevole sua morte fecer così che non foss'esseguito l'eroico suo profittevol disegno.

L'ultima delle sue dotte spiritose fatighe con istraordinario talento, a sapere qui fra Noi recitare, quella fu dessa per la qual fece a Noi chiaramente palese e colla teorica, e colla pratica tirando seco l'ammirazione di tutti que', che concorsero per ascoltarlo il ventesimo nono giorno di Aprile del mille settecento ventidue, come le regole dell'Architettura le medesim'elle sieno che quelle della Musica.

lo voglio sodamente credere, che le accennate sue opere fin qui sarebbono state fuor d'ogni dubbio valevoli ad arrecargli tutto il decoro, e la compiuta estimazione, ma egli ancora, per così dirla, non sazio di appalesare al mondo il forte coraggioso valor del il suo ingegno, di cui pienamente l'avea dotato il Signore a tutta possa intraprese di riedificare il Ponte di Termine, per lui reso già piucchè celebre, e totalmente sicuro di nuove rovine, tuttochè dal suo principio fin a quest'ultima riedificazione per quanto egli avea dalle storie raccolte, si era ben cinque volte disfatto, onde con espertezza sì grande, e con arte così maravigliosa lo rendette frallo spazi'ormai non compiuto di settanta tre giorni a quella perfezione, che appena per la sua grandezza immaginar ci possiamo, sicché per la brevitate del tempo, per la sodezza della fabbrica, e sovr'ognialtro per la 'ngegnosissima architettura, è adesso riputato, e lo sarà per sempre stupore da' matematici più subblimi, e de' più sagaci architetti.

Checché ne dicano, od abbian potuto dirne gli invidi detrattori della sua fama, e van'impugnatori della sua gloria, ben'allor si comprese ch'egli era così perito, che dopo lui la Sicilia starà parecchi secoli ad averne un altro non che superiore , ma uguale; cosa non solamente da ogniun confessata, ma anche, non per acquisto di quella gloria, che vana, e gonfia si appella, par che fosse stata da lui medesimo per impulso di verità conosciuta allor che fabbricato il Ponte di cui si è poc'anzi parlato , e ridotto già da cinque in uno solo, e grandissimo arco di cento vent'un palmo in diametro, proruppe in questa, nell'apparenza troppo ardita proposizione, che talmente era sicuro di quell'edifizio, che se era qualsisia orribile spaventevol diluvio, si sarebbe creduto salvo, se il tempo avesse lui conceduto di poter mettere il piede souvr'al Ponte; ed allora in verun'altra maniera naufragato sarebbesi, che per la sovrabbondanza dell'acqua, non sapere in verun conto immaginarsi di poter cedere la fabbrica: indubitata certamente cagione per la qual sovra d'esso una scolpita immagine d'un Uomo, che dorme col motto sƐ cura quies vi ripose.

Tutto ciò senza ch'io mi creda punto di fallarm'il pensiero, me l'immagino per aver'egli voluto fare un elogio alla Scienza Matematica, ed un altro a se stesso mostrando di avervi saputo perfettamente adoperare i precetti più buoni, e le regole irrefragabili dell'arte; siccome per l'appunto Archimede volendo spiegar la forza della Matematica, e ch'egli al maggior grado possedendola maneggiar la sapea non durò pena alcuna per dire, s'io avessi luogo fuor del mondo per collocarvi un'istrumento, mi prometterei di muovere l 'intero globo terraqueo.

Ma troppo in verità lunga, e meno aggradevole riuscirebbe questa mia Orazione, se volessi qui far memoria di tutte quelle oper prodigiose, per le quali accquistossi al più eminente segno ed il concetto, e la stima, ed in ispezialità nelle più ardue imprese, e nelle difficilià quas'insuperabili; eppur egli era racconto per la robbustezza dello spirito, del quale il sommo artefice dio l'avea compiutamente arricchito, che se mi fusse lecito lo riflettere, direi, che l'ingegno con cui'n tutto arrivava, e lo spirito così chiaro, e così grande, che ad un tratto comprendeva ogni forza, e così comprendeva, che niuna impresa per lui riusciva impossibile, e molto meno difficile, venivan'ambi simboleggiati colla robustezza del corpo.

Non erav'insomma operazione tuttocchè da altri per insuperabile riputata, ch'egli non la riusciva, o di riuscirla non si promettea. Una delle quali che in acconcio qui cade di puramente additare, è quella che con magnanimo vigoroso impegno in Piazza una delle più antiche città della nostra Sicilia trasportar voleva per vent'otto palmi da un luogo all'altro con le fondamenta insieme un'intiero antichissimo campanile fabbricato fin dal tempo de' Goti di vent'otto palmi di quadro, e per quanto s'innalza da terra di ottantacinque palmi altezza.

Avrebbe di vero arrecato sospetto di millantatore, se molti non avesse avuto avvedutamente sgannato e coll'obbligarsi alle spese che sarebbon forse accadute se dell'opera non compievasi il fine, e non aveva ad alcuni intendenti della matematica dato in iscritto il modo con cui la proposta operazione eseguir si dovea, che venne comunemente acclamato, e per infallibile riputato dall'eccellente matematico tedesco il Baron di Schemmettau: eppure d'altro più ammirabile dava a Noi la speranza di godere, qual'era la grande incominciata impresa del Moto perpetuo rappresentandogliene ben 'agevole il modo la facilità con cui esattamente, in occasione della fabbrica del Ponte, fece la coclea d'Archimede per disseccare quel fiume.

O tutte queste sue opere, e tutte queste sue idee così nobili, così eroiche, così meravigliose, mi fanno certamente ragione di riflettere alla gran perdita, che abbiamo avuta, e allo giusto lagrimevol rammarico, che aver dobbiamo della sua morte; oltrechè udendo celebrar la fama degli Uomini insigni de' Paesi stranieri, più da Noi non si potrà, come dir si poteva, sol ci basta la gloria di avere il nostro Daidone; ne men potrallo pronunziare l'Arcadico, e maggiormente di essa la nostra Colonia oretea della qual'ei fu uno de' fondatori col pastorale nome di Tebalio.

Ma grazie al Cielo, che se non in tutto almeno in parte resta di perdita deplorabile mitigata ladoglia, se andatosen'egli il giorno de' dieci del messe Gennaio di quest'anno corrente alla vera celeste Patria ove riposano dopo faticoso pellegrinaggio nel Mondo gli Uomini così illustri qual riempie colà di sempiterno glorioso lume Iddio vera perenne fonte, ed origine delle scienze, lasciò a Noi le sue opere cotanto egregie od incominciate, o perfette, sicché servirà di nostra gloria al cospetto di tutt'Europa, e al confronto dei più celebri astronomi, Geometri, Architetti, e per dirla in brieve de Matematici tutti il ​​poter francamente dire sennon abbiamo Daidone, abbiamo le prodigiose opere di Agatino Daidone, che è quello, che basta pur che la Genial nostr'Accademia, pur che l 'intera Sicilia, e permettete che 'l dica, pur che l'Europa interamente riluca; ed ecco già 'l termine fin dove giugner brevemente ho potuto, e quel molto che resta o per mia dimenticanza, o ch'io non ho voluto qui porre perché non avrei saputo spiegarlo, o perché non ho potuto convincermi dall'estremo rammarico, lascio che si rammenti da Voi fidi compagni al duolo amorevoli virtuosi Accademici ».

Bibliografia e sitografia

PG da Mezzojuso , C. Scarfò , F. Leto e Grimaldi , “Ode funebre per le esequie da celebrarsi dagli Accademici Geniali di Palermo, de quali tiene degnamente la presidenza il can. D.sig. Don Antonino Mongitore, in morte del sig. D. Agatino Daidone Calascibettano, gran matematico, ingegnere di detta città di Palermo, ms. del XVIII secolo”, BCPa, 2Qq B 53, ff. 126r-127v, 150r-v, ss. sn Giovanna Curcio, Marco Rosario Nobile, Aurora Scotti Tosini, “I libri e l'ingegno studi sulla biblioteca dell'architetto (XV-XX secolo)” Edizioni Caracol, 2009.

Domenica Sutera , Il breve ristretto delli cinque ordini dell'architettura… di Agatino Daidone (1714): Struttura, Fonti, Modelli, Obiettivi. Pag. 89 in “I libri e l'ingegno studi sulla biblioteca dell'architetto (XV-XX secolo)”.

G. Giardina , Orazione in morte del nostro Accademico Agatino Daidone recitata [presso l'Accademia dei Geniali] li 4 giugno 1724, ms. del XVIII secolo, Biblioteca Comunale di Palermo (BCPa), Qq E 34, ff. 53-55.

EH Neil , Architettura nel contesto, cit., pp. 391-395.

Giuseppe Longo , 2010 -Il ponte di San Leonardo una delle meraviglie siciliane"- Sicilia Tempo anno XLVIII n.472 luglio, 14-17.

Giuseppe Longo 2011, “Il genio eclettico di Agatino Daidone”, MadonieLive , 17 giugno.

Giuseppe Longo , 2011, “Il ponte San Leonardo”, MadonieLive, 19 Giugno

Andrea Gaeta Biblioteca Comunale di Palermo - Manoscritto Qq E 34, f. 52, in “Gli Atomi - Collana in PDF di Tecnica e Cultura - 39. Daidone News 1 Quinta serie di idraulica romana”, Roma, 2013.

www.bitnick.it 

Ph. Rodoarte Onlus, Francesco La Mantia, Salvatore Di Venuto.

www.gdmed.it

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